La TARI è stata introdotta in Italia nel 2014 dal Governo Letta. Essa ha sostituito ed accorpato la Tariffa di igiene ambientale (TIA), la Tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani (TARSU) ed il Tributo comunale sui rifiuti e sui servizi (TARES).
La TARI è parte dell’imposta comunale unica (IUC) insieme all’IMU ed alla TASI.

La Tassa sui Rifiuti è una fra le gabelle più odiate dalle famiglie ma soprattutto dalle imprese, infatti spesso queste ultime provvedono già a forme di smaltimento autonome, ad esempio per i rifiuti speciali come plastica, legno, carta e rifiuti agricoli e ciò nonostante sono assoggettate al pagamento di pesanti importi per lo smaltimento dei rifiuti.

La TARI è nata per colpire chi inquina o chi produce rifiuti che devono essere smaltiti tramite il servizio di raccolta comunale, non chi non produce rifiuti neppure potenzialmente.

Se il presupposto della tassazione è quello di colpire chi produce rifiuti inquinando allora bisogna guardare all’attività che viene svolta ed alla potenzialità di questa di produrre o meno rifiuti.

A tal proposito, con sentenza n. 296/02/15, la Commissione Tributaria Provinciale di Reggio Emilia (CTP), accogliendo il ricorso di un contribuente, ha stabilito che la tassa sui rifiuti (Tari) è da considerarsi illegittima quando il regolamento del Comune che l’ha deliberata è “irragionevole”. Si apre così un importante precedente in materia di tassazione sugli immobili, con particolare riferimento ai criteri fiscali utilizzati dai Comuni.
La decisione dei giudici ha origine dall’impugnazione, da parte di un imprenditore vinicolo di Reggio Emilia, di alcuni avvisi di accertamento relativi al pagamento della Tari.

Nel ricorso l’imprenditore parte dal semplice principio economico del “chi inquina paga“, affermando in particolare che:
“Il principio “chi inquina paga” è strettamente connesso “alla potenzialità di produzione di rifiuti” e alla “tipologia di attività svolta”; ma nel caso dell’ attività svolta dalla mia impresa la produzione di rifiuti – tanto potenziale quanto effettiva – è praticamente inesistente, posto che essa consiste principalmente nell’acquisto di vino sfuso, che viene immesso dal fornitore in cisterne tramite pompe o consegnato in fusti d’acciaio per la vendita alla spina, che poi vengono resi vuoti alla cantina fornitrice. Il vino viene poi venduto ai clienti mediante l’uso di contenitori di loro proprietà, o che possono acquistare in negozio per poi riutilizzare enne volte”

Oltre a mettere in luce le illogicità emergenti dal regolamento posto a base del calcolo dell’imposta, il ricorrente ha anche invocato il principio di capacità contributiva, argomentando di aver messo in piedi un’attività partendo da zero, con la speranza, negli anni a venire, di arrivare a produrre un reddito che gli consenta di vivere dignitosamente.

La CTP ha accolto e condiviso il ricorso dell’imprenditore in ogni suo singolo aspetto. Nelle motivazioni della sentenza infatti, il Collegio giudicante, nel far proprie le eccezioni del ricorrente, si chiede dove e come possa essere ritenuta inquinante e fonte di rifiuti l’attività svolta dal ricorrente, dichiarando che la tassazione imposta dal Comune al contribuente è “fuori da ogni principio di ragionevolezza”, poiché l’attività in questione non comporta alcuna produzione di rifiuti; pertanto la CTP di reggiana ritiene “fuori da ogni principio di ragionevolezza”, la tassazione contestata dal ricorrente. E allora il ricorso è fondato, “essendo di solare evidenza come, in base e per effetto dell’art. 7 ultimo comma del D.Lgs. n. 546/92 il Collegio possa (rectius: debba) dichiarare non applicabili, i regolamenti e gli atti generali del Comune […] e di […] a parte ricorrente, in relazione all’oggetto dedotto in giudizio”.

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