Con l’emergenza sanitaria da Coronavirus e il lockdown sono aumentati drasticamente i sfratti per morosità. Lo shock economico senza precedenti generatosi a causa dell’emergenza epidemiologica Covid- 19, che ha di fatto impedito ad una molteplicità indefinita di commercianti di pagare l’affitto, ha trovato una mitigazione nella magistratura ispirata, per quanto possibile, al difficile riequilibrio di posizioni opposte.
Vediamo alcune significative pronunce.
“Non può ritenersi sussistente un inadempimento grave del conduttore, stante la grave situazione di emergenza sanitaria a causa del Covid-19, che ha portato all’adozione dei provvedimenti governativi di chiusura degli esercizi commerciali per più di tre mesi” (Tribunale di Palermo, ord. 25/9/2020). Il Tribunale di Palermo, richiesto di pronunciare la risoluzione contrattuale per morosità in relazione ad un esercizio commerciale (bar – ristorante) negava la convalida rigettando l’istanza proposta dal locatore che aveva dedotto inadempimenti sorti durante il periodo di chiusura forzata. Il ristoratore – conduttore, resistendo alle opposte pretese, invocava l’applicazione del Decreto Cura Italia (art. 3 comma 6 bis) nella parte in cui ha previsto che “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti“. Siffatta valutazione, proseguiva la difesa del ristoratore, portava ad escludere, in punto di diritto, sia il presupposto sia la condizione dell’azione di risoluzione contrattuale, tali essendo l’imputabilità e la non scarsa importanza dell’inadempimento, secondo quanto disposto dagli artt. 1218 e 1455 Codice civile. In accoglimento di tali tesi difensive il Tribunale palermitano, rilevando la sussistenza dei gravi motivi in contrario, rigettava la richiesta di rilascio dell’immobile.
Lo stesso succedeva a Milano, ove il Tribunale di Milano “bloccava” lo sfratto ai danni di un ristoratore di Settimo Milanese che a causa delle conseguenze del lockdown non era riuscito a pagare l’affitto di marzo, aprile, maggio, al proprietario del locale (complessivamente 10.600 euro). Il magistrato, che rinviava la causa a dicembre, chiedendo alle parti di rinegoziare il canone, faceva appello al dovere di solidarietà così come è sancito dalla Costituzione. Il giudice dichiarava che “nell’emergenza sanitaria in corso è da ritenersi necessaria, alla luce del principio di buona fede e correttezza nonché dei doveri di solidarietà costituzionali, una rinegoziazione del canone“. Altrimenti, chiariva, si scaricherebbero i sacrifici imposti solo sull’affittuario che ha sofferto di una “limitazione nel godimento del bene”. Inoltre, il giudice osservava come se il locale fosse rimesso sul mercato, nell’attuale situazione, “verosimilmente non otterrebbe” più il valore fissato dall’ultimo contratto; il valore del bene infatti sarebbe ridotto. Il magistrato chiedeva, quindi, alle parti di trovare un accordo, poiché a causa delle misure restrittive imposte l’attività non ha potuto procedere a pieno regime.
Lo stesso succedeva a Napoli, ove il Tribunale di Napoli (Tribunale di Napoli, ord. n. RG 12292/2020 del 15 luglio 2020) respingendo la convalida dello sfratto per morosità disponeva che una “particolare situazione di crisi economica e sociale dovuta alla nota pandemia di Covid-19 che ha portato la chiusura di tutte le attività economiche per un periodo di tempo apprezzabile e in parte coincidente con le mensilità non pagate” determina quei “gravi motivi ostativi” all’emanazione del provvedimento di rilascio dell’immobile perché l’affittuario aveva corrisposto “una parte dei canoni intimati” e l’importo residuo risultava “in parte coincidente” con le mensilità non pagate durante la chiusura totale imposta nella Fase 1 dell’emergenza.
Il Tribunale di Venezia, pronunciandosi in materia di sfratto per morosità, riteneva pertinente il richiamo alla figura dell’impossibilità parziale ex art. 1464 c.c. in caso di impossibilità di godimento di immobili in locazione conseguente alle restrizioni imposte dalla normativa sanitaria Anti- Covid19. L’art. 1464 c.c. riguardante l’impossibilità parziale della prestazione prevede, in capo alla parte la cui prestazione non è divenuta impossibile, la possibilità di scegliere tra la riduzione della prestazione o il recesso dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale.
Alla luce di ciò, il Tribunale valutava che l’intimata era stata sempre regolare nei pagamenti nel periodi precedente al verificarsi dell’evento straordinario. Di tal ché riteneva indispensabile, anche in ossequio al dovere di buona fede, stabilire una riduzione dei canoni per il periodo di emergenza da Coronavirus