Nell’arco degli ultimi anni si è registrata una crescente diffusione dei c.d. “contratti per adesione” (e “a distanza”), generalmente stipulati con banche, assicurazioni o società di comunicazioni che offrono i propri servizi a condizioni predeterminate (su moduli o formulari), mentre l’altro contraente (utente, consumatore), si limita ad aderire automaticamente alla sottoscrizione.

Tale fenomeno ha spinto il legislatore ad intervenire in un primo momento affiancando alla regola generale di cui all’art. 1341 c.c., una disciplina specifica delle clausole vessatorie, con l’aggiunta del capo XIV bis al codice civile (“Dei contratti del consumatore”) composto da cinque articoli (dal 1469-bis al 1469-sexies) e poi, sulla spinta delle direttive comunitarie, tale disciplina è stata sostituita dal nuovo “Codice del Consumo” (d.lg. n. 206/2005), il quale, novellando l’art. 1469-bis c.c. e, parallelamente, abrogando le norme immediatamente successive, si occupa (artt. 33-38 e 139-141) delle clausole vessatorie nei rapporti tra professionisti e consumatori.

La disciplina generale delle clausole c.d. ” vessatorie ” è prevista dall’art. 1341 c.c. dedicato alle “Condizioni generali di contratto”, il quale al secondo comma dispone che “in ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità, facoltà di recedere dal contratto o di sospenderne l’esecuzione, ovvero sanciscono a carico dell’altro contraente decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni, restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi, tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria”.
Le suddette clausole, tassativamente elencate dal legislatore del ’42, proprio perché producono un forte squilibrio fra le parti, sono considerate, dunque, inefficaci, se non approvate per iscritto (Cass. n. 11594/2010).

Tale disciplina che rimane perfettamente in vigore per i contratti fra imprese (Business to Business – B2B) e fra comsumatori (Consumer to Consumer – C2C), cede il passo alla disciplina di cui al Codice del Consumo laddove si verta in tema di contratto fra un professionista ed un consumatore (Business to Consumer – B2C).

Preliminarmente, va precisato che, secondo l’art. 3 del Codice del Consumo, il Consumatore si identifica nella “persona fisica che agisce per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta”, ed ex art. 33 del Codice si considerano vessatorie le clausole che “malgrado la buona fede, determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”.

L’art. 33, secondo comma, del d.lg. n. 206/2005 (Codice del Consumo), indica esplicitamente le clausole che si presumono vessatorie, fino a prova contraria. Tra le diverse ipotesi enucleate dalla norma rilevano, in particolare, le clausole volte ad escludere o limitare:
– la responsabilità del professionista in caso di danno (o morte) alla persona del consumatore dovuta ad un’azione o omissione dello stesso;
– le azioni o i diritti del consumatore nei confronti del professionista in caso di inadempimento (totale o parziale) o di adempimento inesatto;
– l’opportunità da parte del consumatore della compensazione di un debito nei confronti del professionista con un credito vantato nei confronti di quest’ultimo.

Rilevano, altresì, le clausole volte a:
– prevedere un impegno da parte del consumatore subordinando, viceversa, l’esecuzione della prestazione del professionista ad una condizione dipendente unicamente dalla sua volontà;
– riconoscere solo al professionista la facoltà di recedere dal contratto e consentirgli di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore in caso di recesso o mancata conclusione del contratto da parte di quest’ultimo (senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma, laddove sia quest’ultimo a non concludere il contratto o a recedere);
– consentire al professionista di recedere da contratti a tempo indeterminato senza un ragionevole preavviso, tranne nel caso di giusta causa (ecc.).

Precisato ciò, occorre, però, ricordare che viene, generalmente escluso il carattere vessatorio di una clausola, laddove quest’ultima sia stata oggetto di trattativa individuale fra le parti. L’art. 34 del Codice del Consumo sancisce, infatti, che “non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale”.
L’indubitabile difficoltà della prova della trattativa grava interamente sul professionista, onerato della stessa al fine di paralizzare l’azione di nullità del consumatore.

Tuttavia, il punto 2 dell’art. 36 del cd. Codice del Consumo, in deroga alla suddetta disposizione, indica tassativamente affette da nullità, ancorchè oggetto di trattativa, le seguenti tre clausole, aventi per oggetto o per effetto di: “a) escludere o limitare la responsabilità del professionista in caso di morte o danno alla persona del consumatore, risultante da un fatto o da un’omissione del professionista; b) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in caso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista; c) prevedere l’adesione del consumatore come estesa a clausole che non ha avuto, di fatto, la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto”.

La clausola vessatoria, gravante sul consumatore, ex artt. 33 e 34 del Codice del Consumo, viene sanzionata con la nullità, mentre il contratto rimane valido per il resto (art. 36).
Secondo il comma 3 dell’art. 36, la nullità opera a vantaggio del consumatore e può essere rilevata d’ufficio dal giudice.
Sempre in materia di clausole vessatorie, oltre all’azione di accertamento della nullità, i consumatori hanno a disposizione anche la tutela inibitoria di cui all’art. 37, nonché quella amministrativa, affidata all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, di cui all’art. 37-bis del Codice del Consumo (introdotto dall’art. 5, comma 1, del d.l. n. 1/2012, convertito in l. n. 27/2012).

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