La banca nel momento in cui conferisce l’incarico ad un promotore finanziario risulta essere responsabile dei danni che quest’ultimo ha cagionato.
Infatti, l’art. 31 del Testo Unico Finanziario – D.lgs 58/1998, dispone che l’intermediario abilitato (la banca o altro intermediario finanziario), che conferisce l’incarico al promotore finanziario , è responsabile in solido dei danni arrecati dal promotore a terzi soggetti, anche se tali danni siano conseguenti a responsabilità penale del promotore.
Completa la materia l’art. 2049 del Cod.civ. che nell’ambito della responsabilità del committente va ad imputare ai padroni e ai committenti i danni arrecati dai loro domestici o commessi nell’esercizio delle incombenze cui sono adibiti. Quest’ultima tipologia di responsabilità è una responsabilità per fatto altrui (o oggettiva), indipendente dalla colpa o dolo del committente. In altri termini l’art. 2049 va ad imputare alla banca (committente) i danni cagionati dal promotore (commesso).
La giurisprudenza – che è copiosa in materia – ha sottolineato più volte che la responsabilità dell’intermediario finanziario è estesa a qualsiasi comportamento tenuto dal promotore finanziario nell’ambito dell’incarico allo stesso affidato.
Affinché possa parlarsi di responsabilità però è necessario che vi sia stato: 1) il compimento dell’illecito da parte del “commesso” e 2) la sussistenza di un rapporto di causalità tra l’esercizio delle incombenze e il danno cagionato.
In realtà la giurisprudenza ha specificato che non è indispensabile un vero collegamento causa-effetto, ma è sufficiente un semplice rapporto di “occasionalità necessaria” tale per cui l’incombenza da sbrigare o il compito da eseguire abbia determinato una situazione che ha agevolato o reso possibile il fatto illecito e l’evento dannoso (così Cassazione 4951 del 2002).
Per affermare la responsabilità solidale dell’intermediario finanziario, non occorre neppure provare o indagare lo stato soggettivo di dolo o colpa in capo all’intermediario, in quanto – per l’appunto – si tratta di una responsabilità oggettiva. Non rileverebbe neppure che la condotta truffaldina del promotore abbia avuto inizio anche prima del sorgere del rapporto di preposizione tra lo stesso e l’intermediario abilitato, nell’estensione della responsabilità addossata ex lege all’intermediario (Cass. civ., n. 12448/2012, in Giust. civ. Mass. 2012, 7-8, 928, Giust. civ. 2012, 10, I, 2297).
In tale ampiezza di protezione, non può avere rilievo neanche che il comportamento del promotore abbia in concreto esorbitato dal limite fissato dall’intermediario abilitato, essendo sufficiente che la sua condotta sia stata agevolata e resa possibile dall’inserimento del promotore nell’attività svolta dall’intermediario finanziario e si sia realizzata nell’ambito delle finalità istituzionali dell’intermediario, in vista delle quali l’incarico è stato conferito.
Quello che rileva è che al terzo in buona fede apparisse in concreto che l’attività posta in essere nei suoi confronti, e che gli abbia causato un danno, rientrasse nell’incarico affidato al promotore dall’intermediario abilitato (Cass. civ., n. 6829/2011, in Diritto & Giustizia 2011, 14 aprile, Banca borsa tit. cred. 2011, 4, II, 385).
Vi è da aggiungere che, la responsabilità dell’intermediario si estende anche alla fase della stipula dell’investimento, come consacrato dalle note sentenze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite nn. 26724 e 26725 del 2007 che abbracciano il principio di responsabilità contrattuale dell’intermediario in caso di violazione degli obblighi comportamentali informativi, con conseguente pronuncia risarcitoria.
Sul punto, la decisione segue un percorso ormai pacifico: per la giurisprudenza di merito e di legittimità, una volta dimostrato che le obbligazioni in lite non rientravano nella categoria di rischio normalmente assunto dall’investitore e dunque non erano adeguate, tanto basta per presumere che egli, se fosse stato correttamente informato, avrebbe rifiutato quell’investimento: “il nesso di causalità non può mai essere valutato in senso naturalistico, dovendosi invece seguire un criterio necessariamente ipotetico o virtuale in forza del quale sia possibile presumere che, in presenza delle informazioni sul rischio dell’investimento omesse, il comportamento virtuale del danneggiato si sarebbe discostato da quello storico” (così Tribunale di Taranto, sentenza del 19 gennaio 2010, n. 104)
Da tali statuizioni emerge lo stretto ed inscindibile legame fra valutazione di adeguatezza di un’operazione e verifica della sussistenza del nesso di causalità fra omissioni informative e danno subito dall’investitore, con la conseguenza che, una volta accertata l’inadeguatezza di un investimento, non può non dichiararsi sussistente tale nesso causale.
In buona sostanza, l’applicazione dei principi generali di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto dovrebbe portare a ritenere che la mera compilazione della scheda sul profilo del cliente non esoneri l’intermediario dal dovere di verificare pur sempre la congruità dell’investimento in rapporto al profilo patrimoniale e finanziario del cliente (così Tribunale di Milano, 10 gennaio 2007).
Acclarato ciò, bisogna precisare che l’intermediario finanziario per andare esente da responsabilità conseguente alla violazione degli obblighi informativi previsti dalla legge deve dimostrare di aver correttamente informato il cliente e di aver tenuto la diligenza richiesta per il caso specifico, in mancanza di tale prova questi sarà tenuto al risarcimento dei danni causati al risparmiatore.
In virtù di quanto detto si potrebbe facilmente concludere che un atteggiamento prudente della banca, ossia la proposizione di investimenti a bassa rischio potrebbe essere la strada più sicura da seguire per l’istituto di credito.
Ma non è così.
La Corte di Cassazione di recente ha condannato un istituto di credito eper un atteggiamento troppo prudente, in relazione alla propensione al rischio del proprio cliente: “la banca è tenuta al risarcimento del danno, per violazione del dovere di diligenza nella gestione del patrimonio mobiliare dell’investitore, allorché abbia tenuto una condotta eccessivamente prudente nelle scelte attuate (nella specie, per avere ridotto la quota azionaria dell’investimento ben al di sotto del limite massimo pattuito) conseguendo così una redditività inferiore, a nulla rilevando che, grazie alla gestione degli anni precedenti, il cliente avesse conseguito idonei guadagni”(Cass. 4393/2014)
In altri termini il cliente può fare causa per mancato guadagno laddove la condotta troppo prudente dell’intermediario finanziario non gli ha permesso di ottenere quanto si poteva sperare.
In conclusione la responsabilità della banca – intermediario finanziario si estente a tutte le fasi che caratterizzano il contratto: dalla stipula, con il dovere di informativa, alla fase esecutiva del contratto con l’obbligo di agire a seconda della propensione al rischio del proprio cliente.