L’etichettatura del prodotto alimentare destinato ad essere consegnato al consumatore finale (o comunque a collettività quali ristoranti, ospedali, mense ed attività analoghe) è qualunque menzione, indicazione, marchio di fabbrica o commerciale, immagine o simbolo che si riferisce ad un alimento e che figura su qualunque imballaggio, documento, avviso, etichetta, nastro o fascetta che accompagna o si riferisce a tale alimento.
Dunque, l’etichettatura fornisce la carta di identità del prodotto dal quale ottenere informazioni utili sulle caratteristiche dello stesso che è necessario conoscere in quanto destinato per sua natura a circolare nel mercato e per essere acquistato deve essere conosciuto e conoscibile.
I principi generali che regolano la materia sono:
– Leggibilità e chiarezza delle scritte. Per la prima volta in assoluto viene definita la dimensione minima dei caratteri tipografici delle etichette, che devono essere di almeno 1,2 mm (0,9 mm per le confezioni più piccole). Questo per rendere più agevole la lettura anche da parte della popolazione anziana, in costante crescita nel bilancio demografico europeo.
– la facilità di lettura delle indicazioni (alcune in particolare devono essere riportate nello stesso campo visivo principale cioè quello esposto al primo sguardo del consumatore, come ad esempio denominazione e quantità);
– la indelebilità delle informazioni contenute in etichetta.
Dunque, l’etichettatura svolge un ruolo essenziale di chiarezza e di garanzia nella presentazione del prodotto e, quindi, della sua tracciabilità per poter risalire ai vari livelli del ciclo produzione-distribuzione.
Le indicazioni attinenti il prodotto alimentare ai fini dell’etichettatura – che dovranno essere in lingua italiana – si dividono in obbligatorie e complementari (che non possono occupare lo spazio destinato a quelle obbligatorie).
In linea generale le indicazioni obbligatorie previste per l’etichettatura di determinati prodotti alimentari sono:
– denominazione dell’alimento. Il nome dell’alimento può fornire la sua descrizione. Accanto alla denominazione deve essere indicato lo stato fisico nel quale si trova il prodotto o lo specifico trattamento che ha subito (ad esempio «in polvere», «ricongelato», «liofilizzato», «surgelato», «concentrato», «affumicato»). Per i prodotti congelati prima della vendita e che sono venduti decongelati sarà obbligatorio riportare, accanto alla denominazione del prodotto, l’indicazione “decongelato”.;
– elenco degli ingredienti. Indica il dettaglio degli ingredienti che compongono l’alimento. È l’elenco di tutte le sostanze utilizzate nella produzione, in ordine decrescente di peso. Particolarmente importante è l’indicazione degli allergeni che deve essere evidenziata con carattere diverso rispetto agli altri ingredienti per dimensioni, stile o colore, in modo da permettere di visualizzarne rapidamente la presenza. Anche i prodotti sfusi devono riportare obbligatoriamente l’indicazione della presenza degli allergeni. Scompare la scritta ‘oli vegetali’. Non è più possibile ingannare il consumatore celando, dietro la dicitura generica di “oli vegetali”, l’utilizzo di grassi tropicali a basso costo (come olio di palma, di cocco o di cotone, dannosi per la salute cardiovascolare). Va quindi indicata con precisione la natura dell’olio usato nella lista ingredienti. Così, ‘olio di oliva’, ‘olio di semi di girasole’, ‘olio di palma’, dovranno essere elencati in etichetta in modo trasparente. Chi usa olio extravergine di oliva potrà ben evidenziarlo in etichetta. Inoltre, se gli oli o i grassi adoperati sono stati idrogenati, è obbligatorio apporre la dicitura “totalmente o parzialmente idrogenato”, a seconda dei casi.
quantità di taluni ingredienti o categorie di ingredienti;
– la quantità netta o, nel caso di prodotti preconfezionati in quantità unitarie costanti, la quantità nominale;
– termine minimo di conservazione (TMC) o, nel caso di prodotti molto deperibili dal punto di vista microbiologico, la data di scadenza; Distinguiamo le due indicazioni.
Data di scadenza: nel caso di prodotti molto deperibili, la data è preceduta dalla dicitura “Da consumare entro il” che rappresenta il limite oltre il quale il prodotto non deve essere consumato.
Termine minimo di conservazione (TMC): nel caso di alimenti che possono essere conservati più a lungo si troverà la dicitura “Da consumarsi preferibilmente entro il” che indica che il prodotto, oltre la data riportata, può aver modificato alcune caratteristiche organolettiche come il sapore e l’odore ma può essere consumato senza rischi per la salute.
Conoscere la differenza tra data di scadenza e TMC può essere utile per evitare che un prodotto venga gettato quando ancora commestibile, riducendo gli sprechi.
– nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede o del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità economica europea;
– sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento;
– titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande aventi un contenuto alcolico superiore a 1,2 % in volume; lotto di appartenenza del prodotto;
– modalità di conservazione ed utilizzazione; istruzioni per l’uso se necessario;
– luogo di origine e provenienza;
– informazioni sulle caratteristiche nutrizionali (dal dicembre 2016);
Indicazioni complementari
Ecco alcuni esempi:
– I prodotti con un quantitativo di caffeina superiore a 150 mg/l che non siano tè o caffè, oltre all’indicazione “tenore elevato di caffeina”, riporteranno la dicitura “Non raccomandato per bambini e donne in gravidanza o nel periodo di allattamento”.
– Gli alimenti con aggiunta di fitosteroli e fitostanoli riporteranno la dicitura “addizionato di steroli vegetali” o “addizionato di stanoli vegetali”. Sarà evidenziato che l’alimento è destinato esclusivamente a coloro che intendono ridurre il livello di colesterolo nel sangue. Inoltre, verrà indicato che il prodotto potrebbe non essere adeguato per le donne in gravidanza, in allattamento e i bambini di età inferiore a cinque anni.
– I dolciumi o bevande ai quali viene aggiunta la liquirizia ad una concentrazione pari o superiore a 100mg/kg o 10mg/l, riporteranno la dicitura “contiene liquirizia” subito dopo l’elenco degli ingredienti.
Nel caso di violazione delle norme di commercializzazione il legislatore nazionale ha previsto sanzioni amministrative pecuniarie che vanno da € 550 ad € 15.500.
Più specificatamente, poi, è prevista una sanzione che va da € 600 ad € 3.500 per: l’irregolarità nei contenuti delle indicazioni riportate in etichetta per una o più delle indicazioni previste ed errori di natura formale; da € 1.600 ad € 9.500 per: irregolarità nelle informazioni di maggiore rilievo che devono essere contenute nelle etichette (es. data di scadenza, denominazione) o assenza di una o più delle indicazioni obbligatorie; da € 3.500 ad € 18.000 per: violazione dei principi dell’etichettatura, informazioni false ed ingannevoli al consumatore, infrazioni in materia di messaggi. Ulteriori sanzioni sono previste per la violazione delle norme del codice del consumo riguardanti le pratiche commerciali scorrette (per informazioni o documentazioni non veritiere da € 4.000 ad € 40.000.
Gli accertamenti in materia di corretta etichettatura dei prodotti alimentari sono di competenza dei vari organi di viglilanza autorizzati a livello nazionale:
– aziende sanitarie locali (asl);
– agenzie ambientali delle regioni (arpa); nucleo antisofisticazioni (nas);
– ispettorato controllo qualità (icq);
– autorità garante della concorrenza del mercato (agcm).