Occorre sin da subito precisare, che il consumatore ha la massima libertà di decidere quando cambiare gestore telefonico e senza fornire alcuna motivazione. Infatti, al consumatore è riconosciuta la facoltà di recedere dal contratto in qualsiasi momento e senza spese non giustificate da costi dell’operatore. Gli operatori non possono, inoltre, imporre un obbligo di preavviso superiore a 30 giorni.
Per far ciò, innanzitutto, il consumatore deve contattare il servizio clienti chiedendo informazioni in merito alle modalità di disattivazione del servizio telefonico oppure, visitate la pagina web dell’operatore telefonico: in genere, viene richiesto l’invio di una raccomandata con ricevuta di ritorno ad un indirizzo indicato. Ricevuta la disdetta, il gestore telefonico non ha più alcun diritto di emettere e addebitare fatture per periodi successivi alla cessazione del contratto: in caso contrario, tali fatture devono essere immediatamente contestate, non solo contattando il servizio clienti, ma anche per iscritto a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.
Una volta inviata la disdetta, qualora il gestore vi dovesse chiedere dei costi di disattivazione, sappiate sin da subito che: con l’entrata in vigore della Legge n. 40/2007 (Decreto Bersani), si è vietata l’applicazione di qualunque penale o prezzo connesso alla migrazione o disdetta a carico del consumatore finale, che non fosse giustificato da “costi degli operatori”. Infatti, il III comma dell’art. 1 della Legge 40/2007 stabilisce che “i contratti per adesione stipulati con operatori di telefonia e di reti televisive e di comunicazione elettronica, indipendentemente dalla tecnologia utilizzata, devono prevedere la facoltà del contraente di recedere dal contratto o di trasferire le utenze presso altro operatore senza vincoli temporali o ritardi non giustificati e senza spese non giustificate da costi dell’operatore e non possono imporre un obbligo di preavviso superiore a trenta giorni”. Sul punto, l’Autorità per le Garanzie nelle Telecomunicazioni (AGCOM), è intervenuta precisando in sintesi che: “Dalla semplice lettura del contratto l’utente deve poter conoscere anche le eventuali spese richieste per l’esercizio della facoltà di recesso o di trasferimento, così da essere agevolato nell’esercizio di tali facoltà, potendone valutare le conseguenze sotto ogni profilo. In ogni caso, l’utente non deve versare alcuna “penale”, comunque denominata, a fronte dell’esercizio della facoltà di recesso o di trasferimento delle utenze, poiché gli unici importi ammessi in caso di recesso sono quelli “giustificati” da “costi” degli operatori”.
In altre parole, i costi di disattivazione se non giustificati e reali, sono illegittimi e,pertanto, non vanno pagati ma contestati fermamente. L’operatore, al ricevimento della raccomandata di disdetta del consumatore, non può in alcun modo applicare costi generici uguali per ogni utente, ma è obbligato a motivarli e a giustificarli presentando un rendiconto dettagliato. Tale principio vale anche per la cosiddetta migrazione, ovvero per il passaggio da un gestore ad un altro. L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha precisato che i costi di disattivazione devono risultare correlati ai costi effettivi che l’operatore sostiene, mentre per le procedure riguardanti il trasferimento ad altro operatore, i suddetti costi non dovrebbero essere neppure applicati. Ciò in quanto, nel caso di passaggio da un operatore ad un altro, gli eventuali costi di disattivazione posti a carico dell’utente, in linea di massima, non sono giustificabili poiché, generalmente, le attività di disattivazione coincidono con le attività tecniche da effettuarsi in fase di nuova attivazione da parte del nuovo operatore che acquisisce il cliente.
Pertanto il consumatore a fronte di costi di disattivazione non giustificati può, anzi, deve contestare i suddetti addebiti,

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