In tema di accertamento sulle imposte dirette (es. l’ iva), l’onere della prova dei presupposti dei costi e oneri deducibili, ivi compresa la loro inerenza, incombe al contribuente che è tenuto anche a dimostrare la congruità dei costi stessi.
Allo stesso modo, il diritto alla detrazione dell’Iva non può essere ritenuto solo sulla base dell’avvenuta corresponsione dell’imposta indicata in fattura, richiedendosi, altresì l’inerenza dell’operazione all’impresa.
Infatti, il contribuente deve anche dimostrare la coerenza economica dei costi sostenuti nell’attività d’impresa, nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria contesti la congruità dei dati relativi ai costi ed ai ricavi esposti nel bilancio e nelle dichiarazioni, poiché, ad esempio del tutto sproporzionati rispetto ai valori normali di mercato. In mancanza di tale prova, è legittima la negazione della deducibilità di un costo sproporzionato ai ricavi o all’oggetto dell’impresa.
Qualora, a fronte delle censure sollevate dall’Amministrazione finanziaria sull’antieconomicità manifesta e macroscopica dell’operazione, il contribuente non offra significativi elementi di prova contraria, il giudice potrà ipotizzare che il contribuente medesimo ha portato in deduzione un costo oggettivamente inesistente, non inerente all’attività di impresa e non correlato alla produzione del reddito.
In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell’Iva non può essere riconosciuto sulla base del solo fatto dell’avvenuto versamento dell’imposta indicata in fattura. E’ necessario, infatti, che l’operazione sia anche inerente all’impresa e, nel caso di pagamento dell’Iva per un’operazione inesistente, il requisito dell’inerenza dell’operazione è sicuramente mancante.
La disposizione di cui all’art. 21 d.P.R. 633/1972 – secondo la quale, se vengono emesse fatture per operazioni inesistenti, l’imposta stessa è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura – va interpretata nel senso che il corrispondente tributo viene, in realtà, ad essere considerato “fuori conto”, e la relativa obbligazione, conseguentemente, “isolata” da quella risultante dalla massa di operazioni effettuate, ed estraniata, per ciò stesso, dal meccanismo di compensazione tra IVA “a valle” ed IVA “a monte”, che presiede alla detrazione d’imposta di cui all’art. 19 d.P.R. cit. E ciò anche in considerazione del fatto che l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti costituisce, da sempre, una condotta penalmente sanzionata come delitto (cfr. Cass. 7289/01; 4247/07).
In altri termini, in presenza di operazioni inesistenti, non si realizza l’ordinario presupposto impositivo, né la configurabilità stessa di un “pagamento a titolo di rivalsa”, né i presupposti del diritto alla detrazione di cui all’art. 19, co. 1, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Ed invero, va considerato, al riguardo, che la previsione del menzionato art. 21, co. 7, se, per un verso, incide direttamente sul soggetto emittente la fattura, costituendolo debitore d’imposta, pur in assenza del suo ordinario presupposto, sulla base del solo principio di cartolarità, per altro verso, incide, sia pure indirettamente, anche sul destinatario della fattura, confermandone, in combinato disposto con gli artt. 19, co. 1, e 26, co. 3, la preclusione ad esercitare il diritto alla detrazione o alla variazione dell’imposta, in assenza del relativo presupposto (acquisto o importazione di beni e servizi nell’esercizio dell’impresa, arte o professione) (Cass. 22882/06).
Ebbene, è agevole cogliere la ratio dell’ indetraibilità dell’IVA, in caso di operazioni inesistenti, nella considerazione che il diritto dell’acquirente alla detrazione dell’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore, quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, è soggetto ad una duplice condizione. La prima è che l’acquirente del bene rivesta la qualità di imprenditore; la seconda, è che sia ravvisabile l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, ovverosia la strumentalità del bene stesso a tale attività. Ed il relativo onere probatorio, in forza degli ordinari criteri in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.) cede a carico dell’interessato (Cass. 3518/06; 16730/07; 2362/13; 27718/13).
In caso di operazioni oggettivamente inesistenti, pertanto, il diritto alla detrazione dell’IVA non può in alcun modo essere ritenuto, anche sul piano probatorio, sulla base del solo fatto dell’avvenuta corresponsione dell’imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, – come detto – l’inerenza dell’operazione all’impresa. E tale requisito è certamente mancante in relazione al pagamento dell’IVA corrisposta per operazioni inesistenti, di per sé inidoneo – come dianzi detto – a configurare un pagamento a titolo di rivalsa, trattandosi di costo non inerente all’attività istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere il detto nesso di inerenza (Cass. 735/10).
In conclusione, il contribuente deve provare l’inerenza dei costi dedotti. Altrimenti l’amministrazione finanziaria può presumere l’oggettiva inesistenza se manca la dimostrazione e il costo sostenuto è sproporzionato. Alle stesse condizioni l’Iva è indetraibile anche se è stata versata. È quanto emerge dalla sentenza 6972/2015 della Cassazione.