Il certificato di agibilità ricopre un ruolo fondamentale nelle transazioni immobiliari. Esso costituisce il documento ufficiale che attesta la conformità a tutte le condizioni necessarie per garantire la sicurezza, l’igiene e la salubrità degli ambienti edilizi. Tali condizioni sono valutate in accordo con la normativa vigente e i criteri di abitabilità stabiliti dall’art. 24 del D.P.R. 380/01, noto come testo unico sull’edilizia.
Ebbene, è valida la vendita senza certificato di agibilità?
Per poter rispondere alla domanda occorre effettuare alcune precisazioni.
Sino ad una ventina di anni fa la dottrina e la Giurisprudenza distinguevano tra certificato di abitabilità e quello di agibilità. Il primo era quello che veniva in rilevo per le abitazioni propriamente dette, mentre il secondo si riferiva a quegli edifici che, pur frequentati da esseri umani avevano altre destinazioni. Sennonché questo tipo di distinzione, di costruzione dottrinaria, non era suffragata da una legislazione adeguata. Il problema è stato risolto da D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di edilizia, entrato in vigore il 30.6.2003) che parla esclusivamente di certificato di agibilità. Nell’uso comune di due termini sono sostanzialmente diventati sinonimi.
Evoluzione normativa del certificato di agibilità.
Prima del 30 giugno 2003, ci si basava sul testo unico in materia sanitaria, il regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, che ha introdotto l’autorizzazione di abitabilità con una finalità principalmente sanitaria e non edilizia.
Successivamente, la normativa è stata modificata attraverso diverse leggi:
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la legge Ponte (L. 765/1967) ha introdotto la distinzione tra agibilità e abitabilità, in cui la prima indicava gli immobili non residenziali e la seconda gli immobili adibiti a scopo abitativo;
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la legge 46/1990 si concentrava sulla conformità degli impianti, condizionando il rilascio del certificato di agibilità al deposito delle dichiarazioni di conformità degli impianti o al collaudo degli stessi;
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il D.P.R. 425/1994 ha introdotto l’obbligo, per le nuove costruzioni o le ristrutturazioni significative, di allegare ulteriore documentazione alla domanda di abitabilità.
Successivamente, con l’entrata in vigore del D.P.R. 380/01 (testo unico edilizia), non si è più mantenuta alcuna distinzione tra agibilità e abitabilità e si sono uniti i concetti nel certificato di agibilità.
Il rilascio dell’agibilità avveniva entro 30 giorni dalla presentazione della domanda all’ufficio comunale, dopo un esame della documentazione e un eventuale controllo dell’immobile. In caso di mancato rilascio entro i termini senza richiesta da parte del comune, la certificazione era considerata implicitamente concessa con il principio del silenzio assenso, entro 30 giorni se era presente il parere dell’azienda sanitaria locale e entro 60 giorni in caso di autodichiarazione.
D.Lgs. 222/2016 (decreto SCIA 2)
Con il D.Lgs. 222/2016 (decreto SCIA 2), non è più il comune a rilasciare l’agibilità, infatti la pratica è stata semplificata grazie all’introduzione della segnalazione certificata di agibilità, un’autocertificazione inviata al comune dall’intestatario della pratica tramite lo sportello telematico SUAPE, entro 15 giorni dalla conclusione dei lavori.
Conformemente all’art. 24 del D.P.R. 380/01, la segnalazione certificata di agibilità richiede la presentazione dei seguenti documenti:
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attestato del direttore dei lavori che certifica la conformità alle normative;
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certificato di collaudo statico;
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dichiarazione di conformità delle opere eseguite;
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accatastamento dell’immobile;
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attestato dell’impresa installatrice riguardo alla conformità degli impianti presenti negli edifici.
Una volta presentata la segnalazione certificata di agibilità, l’uso del fabbricato è consentito, sebbene sia importante notare che il possesso della documentazione non impedisce all’autorità pubblica di dichiarare l’inagibilità.
Dopo queste precisazioni possiamo rispondere al quesito: è valida la vendita senza certificato di agibilità?
Una recente sentenza del Tribunale di Roma (sez. V, 03.02.2023, n.1801) statuisce che: L’immobile privo di certificato di agibilità può essere compravenduto, ma le conseguenze dell’omissione sono differenti a seconda dello stato dell’immobile. Fermo restando che un immobile può essere acquistato e/o venduto anche se privo del certificato di agibilità, l’assenza di tale documento può produrre diverse conseguenze: 1. l‘immobile non possiede i requisiti per ottenere l’agibilità (ad esempio, perché abusivo) ed in tal caso, il contraente può chiedere la risoluzione del contratto, il risarcimento dei danni e la restituzione delle somme già corrisposte; 2. se invece l’immobile è idoneo all’agibilità, ma il certificato non è stato mai chiesto, è il venditore che deve attivarsi per presentare la relativa istanza all’ente competente. In caso contrario, il compratore può chiedere una diminuzione del prezzo di acquisto e un risarcimento commisurato al deprezzamento dell’immobile in conseguenza dell’assenza del certificato.
Pertanto, la vendita di un immobile senza certificato di agibilità è, in sé per sé, valida: il certificato infatti non è condizione di validità del contratto. Tuttavia, l’assenza di agibilità ha rilievo solo nei rapporti tra le parti: il contratto è valido ma se l’acquirente non ha prestato il suo consenso, questi si può sciogliere dall’impegno assunto e chiedere la restituzione dei soldi versati al venditore reticente.
In buona sostanza, si può vendere una casa senza agibilità a patto che ciò sia indicato nell’atto di compravendita e l’acquirente, consapevole di ciò, abbia accettato l’immobile nelle condizioni di fatto e di diritto in cui si trova.
Difatti, con la sentenza n. 32552/2023, la Cassazione ha affermato che, nella vendita di immobile destinato ad abitazione, il certificato di agibilità costituisce requisito giuridico essenziale del bene compravenduto, poiché vale a incidere sulla attitudine del bene stesso ad assolvere la sua funzione convenuta nel contratto, assicurandone il legittimo godimento e la commerciabilità. Di conseguenza, il mancato rilascio del predetto certificato integra inadempimento del venditore.
L’acquirente può quindi rivolgersi al giudice e chiedere alternativamente:
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la riduzione del prezzo di compravendita (con rimborso della differenza);
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la risoluzione del contratto (con rimborso dell’intero presso versato).
La stessa regola vale anche nel caso di vendita di immobile a uso diverso.
Ne consegue che il difetto del certificato può essere superato solo dalla comune volontà delle parti di concludere comunque il contratto.
Con la pronuncia in commento, dunque, la Cassazione ha chiarito che l’assenza del certificato di agibilità in una vendita immobiliare è un ostacolo insormontabile, a meno che non esista un accordo specifico tra le parti che superi questa mancanza.
Ed ancora, secondo la Corte di Cassazione: “In tema di vendita di immobili destinati ad abitazione, la mancanza del certificato di abitabilità o agibilità configura alternativamente l’ipotesi di vendita di aliud pro alio, qualora le difformità riscontrate non siano in alcun modo sanabili, l’ipotesi del vizio contrattuale, sub specie di mancanza di qualità essenziali, qualora le difformità riscontrate siano sanabili, ovvero l’ipotesi dell’inadempimento non grave, fonte di esclusiva responsabilità risarcitoria del venditore ma non di risoluzione del contratto per inadempimento, qualora la mancanza della certificazione sia ascrivibile a semplice ritardo nella conclusione della relativa pratica amministrativa” (Cass. civ., sez. II, 2 agosto 2023, n. 23604)
In conclusione, dalla mancanza del certificato di abitabilità (ovvero di agibilità) possono discendere le seguenti conseguenze: se la mancanza è ascrivibile all’assenza, in senso sostanziale e funzionale, dei requisiti di conformità igienico-sanitaria, di sicurezza e di risparmio energetico volti a rendere abitabile o agibile l’immobile e si tratta di carenza insanabile, il bene assume connotazioni completamente diverse da quelle pattuite, appartenendo a un altro genere e rivelandosi funzionalmente inidoneo ad assolvere la propria funzione economico-sociale, ossia a fornire l’utilità richiesta, sicché l’acquirente sarà legittimato a chiedere la risoluzione del contratto per vendita di aliud pro alio, senza soggiacere ai termini di decadenza e di prescrizione dettati dagli artt. 1495 e 1497 c.c.; se i medesimi requisiti manchino dal punto di vista sostanziale, ma tale carenza sia sanabile, la cosa venduta sarà viziata, dal momento che le accertate difformità – proprio in quanto rimediabili – non assumono un’incidenza strutturale e funzionale sulla destinazione economico-sociale del bene, sicché l’acquirente sarà legittimato ad avvalersi dei rimedi previsti dalle azioni edilizie; se, infine, la carenza ha un rilievo esclusivamente formale e documentale, perché i requisiti di conformità sussistono dal punto di vista sostanziale, il contratto non potrà essere risolto, poiché l’inadempimento non può essere considerato talmente grave da dare luogo a uno squilibrio funzionale del sinallagma negoziale, ma l’acquirente potrà fare valere l’inadempimento al fine di ottenere il risarcimento del danno di cui fornisca la prova.