canna fumaria condominioIl conduttore di un locale commerciale chiede all’assemblea di condominio di installare una canna fumaria a servizio della propria attività. Il condominio si oppone alla richiesta.

Con l’ordinanza del 31 luglio 2024, la Corte di Cassazione, Sezione II, n. 21483, vengono ribaditi principi fondamentali in materia di diritto condominiale.

Il contesto normativo del diritto condominiale

L’ordinanza si inserisce nel quadro normativo regolato principalmente dal Codice Civile, agli articoli 1117 e seguenti, che disciplinano il condominio negli edifici. In particolare, il provvedimento analizza:

La Corte ha affrontato questioni legate all’equilibrio tra diritti individuali dei condomini e l’interesse collettivo espresso attraverso le delibere assembleari.

La questione centrale: il diritto di installare una canna fumaria

Nella suindicata ordinanza si è affrontato il tema del diritto del singolo condomino di installare una canna fumaria, un argomento che spesso genera controversie nei contesti condominiali.

Il rapporto di locazione: il conduttore ha diritto al pari uso della res comune.

Secondo il costante orientamento della Suprema corte di Cassazione il conduttore di un bene in Condominio versa nelle stesse condizioni del proprietario: Il conduttore può liberamente godere ed, eventualmente, apportare modifiche alle parti comuni dell’edificio, purché in funzione del godimento o del miglior godimento dell’immobile locato e senza alterare la destinazione di dette parti, né pregiudicato il pari suo uso da parte degli altri condomini (Cass. 14529/2021; Cass. 3874/1997; Cass. 6229/1986: Cass. 2331/1981)

I limiti all’installazione della canna fumaria.

Al conduttore è consentito installare una canna fumaria in condominio funzionale all’esercizio dell’attività commerciale cui sia adibito l’immobile locato. L’esercizio di tali facoltà non è soggetto ad autorizzazione assembleare se:

La giurisprudenza rilevante

L’utilizzo della res comune rappresenta un’espressione dell’interesse individuale del singolo condomino e non richiede necessariamente un confronto con l’interesse generale o l’approvazione in assemblea, come stabilito dall’articolo 1102 del Codice Civile. Quando si tratta di parti comuni utilizzate per installazioni destinate al servizio esclusivo di una specifica unità immobiliare, come l’installazione di una canna fumaria per un’attività commerciale, è fondamentale rispettare le regole previste dallo stesso articolo.

Spetta al giudice di merito valutare la legittimità di tali usi particolari, verificando che l’intervento non pregiudichi il decoro architettonico dell’edificio condominiale. Questo limite, infatti, si inquadra nel principio generale dettato dall’art. 1102 c.c. e rappresenta una guida essenziale nell’accertamento delle condizioni di liceità per le modifiche d’uso. Ogni intervento realizzato da un condomino in base a tale norma deve inoltre rispettare il divieto di compromettere il decoro architettonico, come previsto in tema di innovazioni dall’art. 1120 c.c. (Cass. 25790/2020; Cass. 2002/2020; Cass. 20712/2017; Cass. 18350/2013; Cass. 14607/2012; Cass. 12343/2003; Cass. 3084/1994; Cass. 179/1977).

L’installazione di una canna fumaria su un muro comune è considerata una modifica consentita al singolo condomino, a patto che vengano rispettate alcune condizioni, tra cui:
a) non compromettere l’uso paritario del bene comune da parte degli altri condomini, includendo sia le facoltà attualmente esercitate sia quelle potenziali, compatibili con le caratteristiche oggettive del bene (Cass. 9875/2012; Cass. 16066/2020);
b) non arrecare danni alla stabilità o alla sicurezza dell’edificio;
c) osservare le distanze legali prescritte (Cass. 3199/2002);
d) non alterare il decoro architettonico dell’immobile.

Con riferimento a quest’ultimo aspetto, il decoro architettonico risulta leso non necessariamente per la modifica delle linee architettoniche originarie, ma qualora l’opera influisca negativamente sull’armonia estetica complessiva dell’edificio, indipendentemente dal pregio artistico dello stabile. Non è richiesto che l’immobile possieda un particolare valore estetico, né che eventuali interventi pregressi abbiano già compromesso gravemente il suo aspetto (Cass. 25790/2020; Cass. 14455/2009; Cass. 27551/2005; Cass. 17398/2004).

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